Molte malattie del sangue come leucemie, anemia aplastica, talassemia, immunodeficenze congenite,
possono guarire con il trapianto di midollo osseo.
I trapianti di midollo osseo si fanno, quando possibile, con un fratello o una sorella del malato che abbiano cartteristiche genetiche
uguali, cioè siano compatibili.
Ognuno di noi possiede un patrimonio di geni, ereditati dai genitori, che ci caratterizza in maniera univoca.
Alcuni di questi geni, nell'uomo definiti come sistema HLA (Human Leucocyte Antigen), controllano la produzione di proteine (antigeni)
presenti sulla superficie di quasi tutte le le cellule del nostro corpo. Per mezzo di questi antigeni il sistema immunitario riconosce
le proprie cellule normali e reagisce contro (rigetto) quelle estranee o addirittura contro le proprie, se modificate.
L'analisi di questi geni, o dei loro prodotti antigenici (tipizzazione HLA), avviene per mezzo soprattutto di tecniche di biologia
molecolare e permette di stabilire la compatibilità tra donatore e ricevente.
Il sistema HLA è caratterizzato da un elevato polimorfismo di geni che compongono tale regione per cui le combinazioni possibili
sono così numerose che è raro riscontrare soggetti non consanguinei con caratteristiche simili.
Anche tra i consanguinei, comunque, c'è solo il 25% di probabilità di avere un fratello HLA identico e quindi solo una parte
dei malati possono essere trapiantati.
In Italia, ogni anno, circa 500 pazienti che necessitano del trapianto non dispongono di un donatore all'interno della famiglia.
Per sopperire a questa mancanza sono sorti in tutto il mondo dei registri di potenziali donatori di midollo osseo. Tali organizzazioni
costituiscono delle vere e proprie banche di dati genetici che, collegate tra loro in una rete internazionale e con i centri di trapianto,
rendono accessibili ad ogni singolo paziente un pool di donatori estremamente ampio.
A fine 2005 il Registro Mondiale dei donatori ha superato i dieci milioni di iscritti.
I Registri nazionali che ne fanno parte sono 42.
Il Registro Italiano (IBMDR) conta 315.000 iscritti e si conferma al quarto posto fra i registri internazionali.
I Donatori italiani trovati compatibili e giunti alla donazione (dati nov. 2005) sono 1469 dei quali 987 hanno donato per pazienti italiani
e 482 per pazienti stranieri.
I Pazienti italiani giunti al trapianto di cellule staminali del midollo osseo sono 2226 (dati al 30.06.2005); 947 con donazioni
provenienti dal registro nazionale e 1279 da donatori esteri.
Il Registro Donatori del Veneto, che fa parte dell'IBMDR, contiene al dicembre 2005 i dati genetici di circa 59.000 iscritti
(circa 300 donazioni effettive) a testimonianza delle eccellenti capacità di reclutamento dei donatori da parte delle associazioni
di volontariato, nonché della grande disponibilità della popolazione al dono.
La donazione di cellule staminali periferiche: l'esperienza veronese
Finalmente, anche in Italia è possibile, per i donatori di midollo iscritti al Registro Italiano (Ibmdr), effettuare la donazione di
cellule staminali da sangue periferico. Infatti, già da diversi anni nel nostro Paese, come in tutto il resto dell'Europa, si è
osservato un aumento progressivo dei trapianti midollari effettuati con cellule staminali periferiche da donatori Hla identici, consanguinei
o non consanguinei (ossia iscritti al Registro). Il dato interessante è che negli stessi anni non c'è stata, per contro, una
significativa riduzione dei trapianti eseguiti con tecnica "tradizionale" (espianto di midollo osseo). E questo perché il trapianto
di cellule staminali periferiche non alternativo al trapianto di midollo osseo, quanto piuttosto un nuovo sistema per ottenere un prodotto
che ha caratteristiche biologiche particolari e che consente il trapianto in pazienti precedentemente ritenuti non idonei per problemi di
tipo clinico o legati alla malattia di base.
Per esempio, le cellule staminali del sangue periferico contengono progenitori emopoietici "più differenziati": una caratteristica
che permette di ridurre notevolmente i tempi di attecchimento del trapianto e, di conseguenza, i rischi di infezioni gravi nel paziente,
caratteristici del periodo immediatamente successivo al trapianto. Per contro, il prodotto raccolto da sangue periferico contiene linfociti
più "immunologicamente maturi", che determinano un maggior rischio di sviluppare la cosiddetta "malattia da rigetto del trapianto
contro l'ospite" (GvHD). Ciò che vorrei far capire in questa sede è che al donatore verrà proposto o l'uno o l'altro
tipo di donazione, a seconda di ciò che è ritenuto migliore per quel specifico paziente e/o per quella specifica malattia.
Ma le donazioni di midollo osseo e di cellule staminali periferiche sono ugualmente sicure?
Per rispondere, vorrei fare riferimento in particolare alla casistica veronese, che peraltro riflette sostanzialmente quanto succede in tutto
il resto del mondo.
Per quanto riguarda le donazioni di midollo osseo, si può affermare che l'unico rischio reale è quello anestesiologico. Si sa
infatti che circa una persona su 300.000 rischia reazioni gravi quando si sottopone a intervento chirurgico. Questo rischio, pur non essendo
prevedibile sul singolo individuo, è probabilmente ancora più basso nel donatore (ovviamente, non esistono statistiche sull'uso
dell'anestesia generale in persone sane), soprattutto poi se ha già ricevuto l'anestesia generale in passato. Nella nostra esperienza
veronese, non si sono mai verificate reazioni anestesiologiche gravi nei donatori di midollo osseo. Il donatore viene normalmente ricoverato
il giorno precedente all'espianto e dimesso la sera successiva o, al più tardi, la mattina del giorno seguente. I sintomi più
comunemente lamentati legati all'anestesia sono stati: nausea (per lo più di moderata entità con qualche episodio di vomito),
debolezza, difficoltà transitoria ad urinare. Un altro sintomo, non legato all'anestesia, è stato la dolenzia nella sede
dell'espianto: anche in questo caso, si può dire che, con rarissime eccezioni, il dolore non ha richiesto somministrazione di farmaci
antidolorifici, a dimostrare l'ottima tollerabilità della procedura. Alla dimissione, i donatori erano in buone condizioni. C'e stato
qualche caso di lieve o moderata anemizzazione, che si è risolto dopo un mese di terapia con ferro orale.
Per quanto riguarda invece la donazione di cellule staminali periferiche, tengo subito a precisare che il motivo principale che ha rallentato
l'impiego estensivo di questa procedura è stato la necessità di fare chiarezza su alcuni aspetti, riguardanti principalmente la
tollerabilità e la sicurezza del fattore di crescita leucocitario. Infatti, per poter raccogliere le cellule staminali dal sangue
periferico, occorre prima "mobilizzarle". La mobilizzazione si ottiene somministrando al donatore, circa due volte al giorno per cinque giorni,
una sostanza in grado "far uscire" le cellule staminali dal midollo osseo e "riversarle" nel sangue periferico. Il fattore di crescita
leucocitario però, come il nome stesso suggerisce, non fa aumentare solamente il numero delle cellule staminali, ma, più in
generale, produce un aumento dei globuli bianchi. Questo significa che il donatore si troverà ad avere, per circa una settimana, un
numero di globuli bianchi superiore al normale raggiungendo, per due-tre giorni, valori di 30-50.000 per microlitro. In questa fase avviene
la raccolta di cellule staminali periferiche mediante leucaferesi, ossia con una procedura per alcuni aspetti simile alla plasmaferesi, nella
quale il prodotto raccolto non è il plasma ma i globuli bianchi, che contengono le cellule staminali mobilizzate.
Da queste premesse, si capisce perchè sia stato necessario avere evidenza, osservando i donatori e i pazienti trattati nel tempo, che
il fattore di crescita non provocasse danni al midollo osseo.
I risultati di questi studi hanno dimostrato che il fattore di crescita, con opportuni accorgimenti, può essere sicuro e tollerabile,
tanto che , all'inizio di quest'anno, il suo uso è stato autorizzato in Italia anche per i donatori da Registro Ibmdr.
In particolare, i controlli dell'emocromo effettuati per cinque-dieci anni su donatori familiari "stimolati" con fattore di crescita non hanno
mostrato aumentato rischio di leucemie acute né di altre malattie ematologiche o non ematologiche.
Gli studi derivati da casistiche mondiali hanno evidenziato che la somministrazione del fattore di crescita può ritenersi sicura a
condizione che si adoperino alcune particolari attenzioni: infatti si legge che in casi estremamente rari si è verificata rottura della
milza nel donatore trattato con fattore di crescita. Anche se si è trattato di un evento eccezionale, questa segnalazione ha reso
necessario prendere misure cautelative aggiuntive. Pertanto, tutti i candidati donatori di cellule staminali periferiche vengono sottoposti
a ecografia dell'addome ed esclusi dalla donazione in tutti i casi in cui presentano anomalie anche minori, in particolare a carico della milza.
Si sa inoltre che il fattore di crescita leucocitario aumenta la coagulabilità del sangue, anche se non sono mai stati descritti in
letteratura casi di trombosi nei donatori. Vengono comunque esclusi dalla donazione di cellule staminali periferiche i donatori che presentano
predisposizione a trombosi.
Nell'esperienza veronese, dal 1991 ad oggi sono state effettuate oltre 1500 procedure di raccolta di cellule staminali. La casistica comprende
pazienti, donatori familiari e i primi donatori da Registro arruolati quest'anno (10 fino ad ora). In questi soggetti, gli effetti legati al
fattore di crescita più comunemente riportati sono stati: stato simil-influenzale (malessere, dolori muscolari), dolori ossei (che
rispondono molto bene al paracetamolo) e febbricola (raramente superiore a 38¡ C). Tutti questi sintomi sono rapidamente scomparsi dopo la
sospensione del fattore di crescita. Non si sono mai registrati casi di trombosi, né rottura di milza né di altri eventi gravi.
Durante la raccolta delle cellule staminali, in un caso su cinque si sono verificati lievi disturbi legati alla somministrazione
dell'anticoagulante (necessario per evitare che il sangue coaguli durante la raccolta): si trattava di formicolii alle dita e alle labbra o,
solo eccezionalmente, di nausea o vomito, cefalea, crampi muscolari. Questi disturbi rispondono molto bene alla somministrazione di calcio:
è sufficiente che il donatore avvisi quando sente i formicolii per poter far scomparire il disturbo in 10-15 minuti. Effetti collaterali
più gravi (spasmi, convulsioni), descritti raramente in letteratura, non si sono mai verificati nella nostra casistica. Non si sono mai
verificati episodi emorragici legati all'uso dell'anticoagulante.
Dopo la donazione, il donatore viene tenuto in osservazione per 30 minuti e quindi può tornare a casa. Gli esami ematochimici possono
mostrare un lieve e transitorio calo dei linfociti e delle piastrine, che si normalizza in una-quattro settimane senza produrre sintomi nel
donatore. Il numero dei globuli bianchi si riduce rapidamente dopo la sospensione del fattore di crescita, normalizzandosi in due-tre giorni.
Il donatore viene comunque seguito con controlli periodici dell'emocromo per dieci anni, a verifica e tutela del suo stato di salute, così
come accadeva e accade per i donatori familiari.
Si può quindi affermare che la donazione delle cellule staminali periferiche appare una metodica sicura per il donatore e consente
inoltre di allargare gli orizzonti terapeutici del trapianto.
Maurizio Cantini - azienda ospedaliera di Verona, servizio trasfusionale
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